Il racconto di febbraio 2024

Benvenute creature.

Avvicinatevi. Qui, accanto al fuoco. Voglio raccontarvi una storia.

Questo mese abbiamo parlato di scienziat* pazz* ed è arrivato il momento di incoronare il racconto del mese.

Quindi sedetevi comodi e venite a sentire la storia di…


Schwarzthorn, di Alessandro Montoro

Un boato, la luce, e poi il buio.

La scarica elettrica termina. Il parafulmine è bruciato, ma sono certo di aver raggiunto il mio scopo.

“Coraggio. Vivi, figlia mia!” Fisso l’ammasso di piccole membra, in attesa.

L’odore dell’alcool è inebriante. La puzza di bruciato un po’ meno.

Nel silenzio frastornante del mio laboratorio isolato tra le montagne svizzere, attendo. I miei sacrifici saranno serviti a qualcosa? La domanda mi consuma nel profondo.

Sono il dottor Vittorio Schwarzthorn, e ho dedicato la mia vita a sfidare le barriere della scienza, a cercare risposte nei misteri più insondabili della vita.

Come fece il grande dottor Frankenstein prima di me!

Fa freddo. Le fornaci sono spente perché i miei servi sono a letto. Non posso chiedere loro di non dormire più, me ne rendo conto.

Vedo una contrazione sul corpicino. Una mano ha mosso un dito? Non ne sono certo. O forse sì… non me lo sono sognato, è successo davvero!

Grazie, eredità di Zeus. I fulmini sono i miei alleati, e la solitudine è la mia musa.

Si muove, ruota il capo e gli occhi. Piango di gioia.

Rebecca, un essere dalle fattezze umane, ma la cui esistenza è alimentata dalle forze stesse della filosofia naturale.

Ho assemblato il suo corpo come un pupazzo, cercando di catturare l’essenza della vita nei suoi occhi di vetro e nella sua pelle color porcellana. Piccole parti, colte come erbe da bare bianche. Frutti caduti troppo prematuramente che io ho deciso di riutilizzare.

Il cimitero del vicino villaggio mi sarà grato…

Rebecca apre gli occhi, uno celeste, l’altro verde. Si agita.

“Sei viva. Sei viva!” Continuo a gridare. Tiro gli occhiali protettivi a terra, sfilo i guanti e inizio a saltellare intorno al tavolo operatorio. Un tuono echeggia fuori, ma non mi interessa.

I primi sussulti di coscienza attraversano la piccola assemblata. Mi trovo di fronte a un’opera che sfugge alla mia comprensione.

“Sono libera” mormora. La piccola si volta e mi fissa negli occhi. “Slegami.” Articola le parole malamente.

“Sì, piccola mia. Sei libera, ora.”

La aiuto a scendere. Copro la forma nuda dell’infante ricucito con un abito fatto su misura per lei. Rosso e celeste, grazioso e pulito. Una bambina di otto anni tornata dal regno dei morti. E non crescerà mai.

“Sei il mio papà?”

Le sistemo i capelli con un nastro. “Sono il tuo creatore, quindi sì. Diciamo una specie di papà.”

Da quel giorno divenne parte della mia vita.

 ***

Sono passati dieci giorni dal grande esperimento di resurrezione. Rebecca mi segue ovunque, di giorno durante i miei studi, di sera nelle grandi sale del castello, di notte nelle camere buie.

Nelle notti tempestose, però, la piccola si allontana. Erra tra i corridoi bui, sperimentando il mondo con occhi curiosi.

In quelle giornate la consapevolezza della mia creazione artificiale mi assale, e inizio a dubitare delle mie motivazioni. La vita che ho donato è davvero una benedizione o una maledizione?

Dio, se esiste, è d’accordo con quanto fatto?

Mentre la relazione genitoriale tra me e Rebecca si complica, un’ombra oscura emerge dai recessi del mio passato.

Un giorno mi ritrovo in biblioteca. Sfilo di fronte a uno scaffale impolverato e lo vedo: il libro da cui tutto è iniziato.

Siedo e rileggo i diari di Frankenstein. Che i mostri siano ancora là fuori?

Mi accorgo che la piccola mi fissa dal fondo della sala.

Rebecca è il mio esperimento, è il riflesso di una tragedia sepolta.

Quella sera qualcuno bussa alle porte del castello. I servi non ci sono. Siamo soli, io e la piccola resuscitata, nell’atrio pieno di dipinti e armature.

Vado ad aprire e per poco non muoio d’infarto. Mostri dalle sembianze umane!

“Chi siete?” domando, cercando di socchiudere l’anta. Invano. Una mano ricucita la blocca.

Non ho armi, sono indifeso. Ho solo il terrore con me.

“Siamo famiglia bambina.”

“Cosa?” Sono incredulo. “Io sono la sua famiglia. Sono il suo papà!”

“No. Noi come lei.”

Mi volto. “Rebecca?” Guardo l’infante dalle membra come arlecchino. “Tu sei nata qui. Sono io la tua famiglia.”

I mostri rispondono per lei. “No. Tu creatore. Noi famiglia.”

Realizzo cosa sono quegli esseri. Sono abomini simili ad Rebecca, frutto degli esperimenti di altri scienziati.

Realizzo che non sono solo nel mio desiderio di creare vita artificiale. Altri avranno letto i diari di Frankenstein, comprendendone i misteri.

Il mio segreto è stato riscoperto da altri e ora i mostri di tutti vogliono la libertà.

La bambina mi fissa con grandi occhi.

Comprendo.

“Se vuoi, puoi andare” dico all’infante.

Una mano ricucita si allunga. Prende quella della piccola, e la trascina fuori dalla porta. I mostri mi fissano, ma non con sguardo ostile.

Mi sembrano… grati.

“Addio, papà.” dice Rebecca con un soffio di voce. Sorride. “E grazie.”


Alessandro Montoro vive a Roma ed è un prolifico autore di fantascienza. Vince il premio Mondadori Urania Short nel 2022 con il racconto “La Causa Fantasma”. Pubblica nel 2023 il suo primo romanzo, “Gli Abissi dei Porci” e appare nella raccolta Mondadori Urania Millemondi 2023 con il racconto “La Musa Inquietante”. Potete leggere il suo secondo romanzo, “Planeto”, su Wattpad.