Il racconto di ottobre 2023
Salve creature e benvenuti al racconto del mese.
Essendo io una persona poco coerente ogni tanto chiacchiero prima di farvi leggere la storia vincente, ogni tanto no. Fatemi sapere se preferite la versione chiacchierata o quella che va direttamente al sodo.
Ma passiamo al racconto.
Pigiama Party, di Alessandro Valgiusti
È il giorno dei morti e ci siamo vestite di rosa. Abbiamo portato gli smalti alla vaniglia e il profumo allo zucchero filato – una boccetta per tutte e cinque può bastare. Non abbiamo il rossetto, ci accontentiamo del burro di cacao alla ciliegia, ma gli ombretti e il resto dei trucchi sono già ad aspettarci sul comodino di Bea.
Una buona skincare presuppone l’assenza di capelli sulla fronte e intorno al volto, quindi decidiamo di farci le trecce. Inginocchiate una dietro l’altra, ognuna prende i capelli di quella che le sta di fronte e li intesse come un fascio di fili dorati. Siamo chiuse in cerchio, adesso, un unico serpente che morde la sua stessa coda.
“Ma se un serpente morde la sua stessa coda, muore o sopravvive?” chiede Eva.
“Non lo so, ma se non smetti di tirarmi i capelli così forte sono io che ti mordo” risponde Mia.
Ridiamo.
Quando le trecce sono così strette da tirarci lo scalpo, iniziamo a depurare i pori della faccia. Ancora inginocchiate sul tappeto fucsia della cameretta di Bea, attingiamo dalla bacinella in mezzo al nostro cerchio come farebbe un branco di dragonesse intorno a uno stagno. Nella bacinella galleggiano ancora i petali rosa delle orchidee di sua madre, e con un panno ne assorbiamo l’umidità per tamponarci le guance, la zona T, la fronte, facendo particolare attenzione anche alle tempie.
“Tutti se ne dimenticano sempre, ma è il mento il punto più grasso del volto” sentenzia Lia.
Annuiamo e ci tamponiamo anche lì, intorno alla bocca, persino sotto al collo.
La fiamma sullo stoppino saltella sciogliendo la cera calda che profuma di cupcake. L’unico modo per mangiare i dolci è annusarli, perché l’odore non compromette la purezza della pelle. Ci nutriamo di fragranze, beviamo tanti liquidi aromatizzati, assumiamo essenze.
“Ragazze, siamo pronte?”
Forse è Eva a chiedere.
“Io ci sono. Bea?”
Forse è Mia a rispondere.
Bea sta masticando una gomma alla fragola e con lei tutte noi, la creatura dalle cinque bocche. Fa sì con la testa. Le nostre cinquanta dita si intrecciano mentre prendiamo un unico, profondo respiro. Una delle mani si stacca brevemente dal groviglio per sgranare la collana. Ci abbiamo impiegato settimane per terminarla, ma adesso è pronta: una lenza lunga quasi quattro metri inanella perline di tutti i colori, alternate ad altre bianche dove sono incise alcune lettere dell’alfabeto. Le parole che abbiamo composto sono segrete e non si possono ripetere. Chiamiamole preghiere.
Ce la passiamo per indossarla una alla volta, è abbastanza lunga per tutte. Qualcuna allunga un braccio verso la porta dell’armadio, abbassa la maniglia, la apre. L’interno è completamente al buio, la luce della candela non arriva lì dentro. Stiracchiamo i nostri colli da idra per cercare di vederlo, ma sentiamo solo rantoli e un respiro affannato.
Poi, finalmente, esce fuori.
Il suo nome non ha importanza. Il ragazzo gattona per cercare di non cascare a terra, mentre un sottile filo di bava gli cola dalla bocca. Le sue pupille vagano sotto le palpebre socchiuse, due bulloni allentati che non riescono a far presa su quello che guardano. Gli abbiamo dato una di quelle caramelle polverose, stamattina, tonde e un po’ aspre: non deve essergli piaciuta. Lo facciamo entrare in mezzo al nostro cerchio, dove si accascia stremato, nonostante abbia fatto appena un paio di metri. Cerca di guardarci, cerca di comunicare con noi, ma senza successo. Ormai è dentro il nostro nido di rettile, incatenato dalle nostre mani ancora intrecciate, senza possibilità di fuga.
Una di noi gli tira indietro i capelli unti di gelatina.
Un’altra inizia a tamponargli le tempie col panno umido.
Forse è Mia a tenergli la testa mentre lui prova a divincolarsi.
Forse è Lia a tirare fuori la lima per unghie, che scintilla sotto la luce della fiamma vivace.
Forse sono io a inciderla nella sua fronte e a disegnare una sottile linea rossa intorno all’attaccatura dei suoi capelli, facendo particolare attenzione alle tempie.
Chiunque sia a impugnarla, la lama procede tutto intorno al volto, la sua bocca tappata da una delle mani, fino a quando non arriva al mento, il punto più grasso di tutti, la mandibola, poi l’altro orecchio, per ricongiungersi infine nel punto da cui è partita. La lima cade sul tappeto senza fare rumore, e le nostre unghie colorate iniziano a far presa lungo la linea rossa e a tirare, tirare, fino a quando il suo volto non ci rimane in mano senza nemmeno uno strappo.
Lo lasciamo sdraiato. Altre due mani dispiegano in aria la maschera prima di indossarla sopra al primo dei nostri cinque volti.
È il giorno dei morti e la nostra pelle sarà bellissima.
Alessandro Valgiusti nasce nel '94 a Firenze, dove si laurea in Lingue e brancola nel buio. Lo appassionano cose strane e misteriose come la fisica quantistica, la stregoneria medievale e le uova delle galline. Legge e scrive da che ha memoria.